di Alessandro Graziadei, 2 dicembre 2013, http://www.unimondo.it
Il mese scorso un verdetto di un tribunale canadese ha respinto l’istanza del popolo nativo Elsipogtog-Mi’kmaq che aveva tentato di fermare i lavori delle compagnie gasifere di fratturazione idraulica WN Resources Canada e Southwestern Energy, di Houston in Texas, impegnate entrambe nell’estrazione di gas con la tecnica del fracking proprio nella terra degli Elsipogtog nel New Brunswick, sulla costa orientale canadese. Gli indigeni temono ora la contaminazione delle loro terre, delle loro falde acquifere e quindi della loro acqua potabile. La fratturazione idraulica o fracking è, infatti, un processo relativamente nuovo e estremamente pericoloso di estrazione di gas e petrolio nel quale dopo aver effettuato perforazioni orizzontali fino a una profondità di 3.000 metri, vengono pompati nel terreno ingenti quantità di liquidi sotto pressione. L’immissione dei liquidi crea delle spaccature nelle rocce e/o dei micro-sismi grazie ai quali viene liberato il gas che a questo punto può essere immagazzinato nei gasdotti e avviato alla raffinazione. Questo “liquido da fratturazione idraulica”, è però una miscela di acqua, sabbia e un cocktail di prodotti chimici tossici che ha pesanti conseguenze sul terreno e sulle falde acquifere.
“Il Canada – ha scritto l’Associazione Popoli Minacciati (Apm) in una nota – non può risolvere i propri problemi energetici sulla pelle delle First Nation [gli oltre 600 popoli nativi del Canada] e violando i loro diritti”. Gli Elsipogtog accusano le imprese di aver ingorato il paragrafo 35 della costituzione canadese del 1982 secondo cui “l’utilizzo e lo sfruttamento delle terre delle First Nation può avvenire solo con l’approvazione del popolo interessato e solo in seguito a un processo di consultazione, che, dicono gli Elsipogtog, non c’è stato”. Anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni dell’Onu, firmata dal Canada nel 2010 prevede che tutte le attività che si ripercuotono sulle condizioni di vita di un popolo indigeno necessitino del loro consenso previo, libero e informato.
Eppure lo scorso 17 ottobre la polizia canadese è intervenuta in modo violento, armata di gas lacrimogeni e cani poliziotti, per porre fine all’occupazione di un magazzino della WN Resources Canada mentre gli Elsipogtog, ambientalisti e altre organizzazioni per i diritti umani tentavano con ripetute azioni di resistenza pacifica di fermare i lavori dell’impresa energetica. Durante l’intervento della polizia diversi manifestanti sono rimasti feriti e sono state arrestate 40 persone, di cui quattro sono tuttora in carcere. Il Gran Capo Stewart Phillip e il Capo Bob Chamberlin a nome dell’Unione dei Capi Indigeni della Columbia Britannica (Ubcic) hanno dato: “il loro totale sostegno alla comunità e ai dirigenti di Elsipogton contro la fratturazione idraulica e lo sviluppo del gas dentro i loro territori. Questa aggressione può oggi accadere in qualsiasi comunità indigena del Canada, e in particolare nella Columbia Britannica, dove sta già avvenendo. Oggi siamo solidali con il popolo di Elsipogton ed esprimiamo il nostro pieno appoggio contro la comune lotta alle pratiche devastatrici e distruttrici portate avanti dentro ai nostri territori dall’attività di esplorazione ed estrazione delle risorse energetiche”. Inoltre “Questa dimostrazione di forza bruta è spaventosa e scandalosa. Ci ricorda i conflitti di Oka, Ipperwash e della Caledonia”, ha concluso Phillip.
Per questo l’Apm ha lanciato un appello urgente al Governo canadese chiedendo “che siano rispettati i diritti degli Elsipogtog così come fissati nella stessa Costituzione canadese” e di evitare “ulteriori scontri tra manifestanti e polizia”. L’appoggio agli Elsipogtog è arrivato in queste settimane anche dall’American Indian Movement (Aim), dall’Nez Perce Tribal e dal Council of Canadians. Terrence Nelson, vicepresidente dell’Aim ha proposto di fare in tutto il Canada dei blocchi ferroviari e ha calorosamente chiesto a tutte le realtà indigene di organizzare azioni di sostegno al popolo Mi’kmaq. “La speranza è che in tutto il Canada ci siano nei prossimi mesi dei blocchi ferroviari, che continueranno fino a quando il Governo non si renderà conto della gravità della situazione”. A Winnipeg membri dei popoli indigeni hanno marciato per le strade e nell’est del Canada hanno iniziato un blocco di solidarietà, mentre il membro del consiglio del popolo Nez Perce Leotis Mc Cormack, che recentemente è stato arrestato per aver protestato contro i trasporti pesanti di sabbie bituminose attraverso le terre sovrane del suo popolo, nello stato dell’Idaho, Stati Uniti, ha inviato un messaggio d’appoggio agli Elsipogtog. “Le mie preghiere e il mio cuore sono con tutti voi – ha dichiarato Mc Cormack -. Anche noi del consiglio siamo stati arrestati tre mesi fa per esserci sollevati contro queste compagnie. Siamo in piedi, in solidarietà con voi”. Dello stesso tenore l’appello di Maude Barlow, presidente nazionale del Consiglio dei Canadesi, che recentemente è stata a New Brunswick, ed ha sottolineato come “osservare il corso della repressione per me è stato impressionante. In questi giorni mi sono riunita con i dirigenti di Elsipogtog, e so che si sono impegnati a continuare una resistenza pacifica per fermare la distruzione della loro terra e della loro acqua, e lo fanno a nome di tutti noi. Siamo solidali con chiunque lotti per proteggere l’acqua e la terra”.
Ora la situazione sembra essere tornata normale e come ha dichiarato Amnesty International “Siamo riconoscenti per gli sforzi di tutte le parti coinvolte per consentire un periodo di riflessione dopo le violenze del 17 ottobre. Tuttavia, è nostra opinione che questo scontro avrebbe potuto essere evitato se il Governo avesse agito in modo coerente con i suoi obblighi di rispettare i diritti umani dei popoli indigeni in virtù del diritto canadese e internazionale. Inoltre, siamo preoccupati che se le autorità non adotteranno un approccio coerente con tali obblighi, possano verificarsi ulteriori scontri”. Del resto, come ha ricordato Aaron Paquette, indigeno canadese di origine Métis, quello che è in gioco non sono solo i diritti del popolo Mi’kmaq, ma l’attuale scelta economica predatoria: “Questo Governo sta tentando di svendere sistematicamente le nostre risorse e di mettere ancora più risorse a disposizione del mercato. Tutto questo va oltre le proteste infuriate dei nativi, qui si tratta di prendere consapevolezza del mondo in cui si vive”. Un tema globale, appunto, che ci riguarda tutti, ben oltre i confini canadesi.
P.S. Leggo ora che Sharon Heta, del popolo Maori, che in questo momento attraversa a piedi gli Stati Uniti prendendo parte alla “Quarta Camminata Più Lunga: il Ritorno ad Alcatraz”, per la sovranità indigena e i diritti indigeni, ha rivelato che gli spiriti dei camminatori sono presenti in solidarietà con il popolo Elsipogtog – Mi’kmaq. Ora che esista un maori che sta percorrendo in nome dei popoli indigeni la Quarta Camminata Più Lunga denominata Ritorno ad Alcatraz accende in me un cielo di empatia e un lampo di perplessità. Mi chiedo chi capirà Heta e le sue serie dichiarazioni nelle quali annuncia che invierà le sue “preghiere e benedizioni ai popoli indigeni della Prima Nazione Elsipogtog, simpatizzanti e alleati, mentre si sollevano in resistenza ed esercitano la propria sovranità indigena per la cura e la protezione delle proprie terre e acque”. Temo i sorrisi divertiti davanti ad un maori sovrappeso e a piedi che solidarizza con degli indiani inermi costretti in riserve. Eppure in questa apparentemente inutile dichiarazione c’è la ragione di un’esistenza e forse non solo quella di Heta, ma quella di tutti i convinti che l’attuale sistema economico e politico sia basato sulla sistematica predazione delle risorse a scapito dei diritti umani e della sostenibilità ambientale.
Fonte: http://www.unimondo.org/Notizie/Canada-quando-il-gas-e-nemico-degli-indigeni-143559
Categorie:Americhe
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