Lo sviluppo della cooperazione

di Edgar Serrano, del 31 marzo 2014, http://www.unimondo.org

Cooperare-allo-sviluppo-o-sviluppare-la-cooperazione_mediumL’agire tradizionale del volontario nelle realtà impoverite del mondo, si è spesso ridotto ad un intervento per creare condizioni finalizzate a muovere i primi passi per favorire l’industrializzazione di tali aree. Un bravo volontario, dunque, sarà colui che metterà in campo le sue abilità e competenze per fare in modo che il PIL degli impoveriti schizzi in alto perché, oggi come oggi, è questo l’unico strumento in grado di misurare il livello di sviluppo delle economie nazionali (a maggior ragione di quelle “sottosviluppate”).

La verità che l’approccio sviluppistico nasconde (e di cui è impregnato fino al midollo il nostro cooperante, senza rendersene conto) è che il PIL, sebbene misuri la produzione materiale di un Paese, non serve per misurare il benessere concreto dei suoi abitanti. Esso, inoltre, non considera l’impatto (degrado) ambientale conseguente alla produzione industriale ed economica né misura il livello di scarsità delle materie prime strategiche e altre risorse (rinnovabili e non), necessarie per produrre un determinato bene.

Insomma, un cooperante con la mente imbevuta di paradigma incrementalistico, è un ottimo candidato a soffrire di “sindrome di Superman” vale a dire, l’atteggiamento per cui si è convinti (in buona fede!) di andare nei paesi impoveriti per “cambiare le cose” (perché coloro che abitano in quei paesi non sanno farlo); per “ottenere un risultato” (perché gli impoveriti sono tali perché non hanno idea di come ottenerlo); per “aiutare i poveri a svilupparsi” (cioè, avere redditi, quindi,spendere e così diventare bravi e buoni consumatori); per “far crescere il PIL dei PVS”  (senza considerare l’impatto che questo ha sul versante umano, ambientale e della scarsità delle risorse strategiche, a partire dall’acqua e dalle terre coltivabili), ecc. ecc.

Il cooperante, in breve, parte con un sogno nel cuore: ottenere risultati. Se, dopo un certo periodo di tempo e malgrado i suoi sforzi, questi risultati non arrivano o non si vedono alla conclusione della sua missione, egli rientra intimamente insoddisfatto per non aver raggiunto gli obiettivi che si era prefisso o non aver portato con sé nessunrisultato visibile da esibire come prova concreta del suo lavoro di cooperante. Il nostro Superman, insomma, è stato colpito nel suo orgoglio dalla criptonite cosmovisionale degli impoveriti; egli, cioè, si sente deluso da quelli “imbecilli, morti di fame e ignoranti” che non hanno capito l’importanza della sua eroica missione di portatore di sviluppo!

Ciò di cui non si rende conto il nostro cooperante, affetto inconsapevolmente dalla sindrome di Superman, è che gli impoveriti, proprio perché materialmente carenti di beni ma psicologicamente pieni di aspirazioni consumistiche (grazie all’occidentalizzazione delle loro coscienze!), vivono in una logica in cui ciascuno cerca di sopravvivere a scapito dell’altro. E’, infatti, un mito tipicamente occidentale la convinzione secondo cui gli impoveriti, proprio perché tali, sono buoni tra loro, cioè, sono uniti e solidali a causa della loro condizione.

Quindi, quando arriva il bianco con il progetto di sviluppo tra le braccia  e i soldi in tasca per metterlo in atto, tutti cercano di accaparrarsi la sua simpatia e la sua amicizia (magari anche mettendo in cattiva luce potenziali concorrenti) per tentare di ottenere il massimo beneficio individuale dal progetto in quanto tale ma anche dall’amicizia con il bianco.

In questo contesto di sopravivenza e di incrociati bastoni tra le ruote, passa spesso inosservata agli occhi del nostro cooperante la questione della precarietà del sensosoggettivo di appartenenza ad una comunità in cui darsi da fare, insieme, per reimpostare la situazione relazionale della comunità e decostruire la condizione esistenziale dei suoi componenti.

La non consapevolezza di questi fattori socio-antropologico-culturali conduce spesso gli impoveriti a concepire la loro condizione personale come l’esito di un destino inesorabile, da accettare con rassegnazione o da superare fregando l’altro o, quando si presenta l’opportunità, aggrappandosi all’amicizia interessata con il cooperante portatore di progetti e di soldi.

Stando così le cose e come ho già accennato, è forse giunto il momento di rovesciare i termini della situazione e cominciare a parlare di sviluppo della cooperazione piuttosto che di cooperazione allo sviluppo. Si tratterebbe, in altre parole, di promuovere una cooperazione di comunità o per la riconciliazione vale a dire, una cultura dell’essere in cooperazione con altri esseri; si tratterebbe di promuoverestrutture di opportunità per far valere le ragioni delle relazioni sociali costruttive quali componenti fondamentali del benessere di ciascuno; di promuovere una cooperazione a forte impianto dialogico e non auto-referenziale per far valere il potere negoziale degli impoveriti.

Questi aspetti intangibili della cooperazione potrebbero configurarsi come propedeutici ad un successivo intervento di miglioramento economico della comunità. Il risultato sarebbe “altro” grazie alle opzioni di sviluppo che tali interventi propedeutici potrebbero innescare.

Ritengo, insomma, che il facilitare la costruzione di identità collettive presso gli impoveriti (quale aspetto intangibile del loro vivere in relazione) potrebbe generare delle ricadute virtuose anche sul benessere  economico delle loro comunità. Ritengo, inoltre, che due di questi aspetti intangibili della cooperazione riguardino, rispettivamente, le sfere motivazionali ed organizzative delle persone e delle comunità.

Va, perciò, ripensata criticamente l’idea sviluppistica degli arricchiti di voler tirare fuori gli impoveriti dalla loro condizione di “sottosviluppati”, insegnandogli cosa, quanto e come produrre beni funzionali alla sola creazione di PIL. Bisognerà inventare un percorso d’immaginazione creativa che offraopzioni di sviluppo che consentano di ridimensionare l’onnipresente logica incrementalistica che caratterizza e fonda l’attuale logica dello sviluppo.

Edgar Serrano  (Manager Didattico della Laurea Magistrale in Local Develpoment – Università di Padova)

 

Fonte: http://www.unimondo.org/Notizie/Cooperare-allo-sviluppo-o-sviluppare-la-cooperazione-145301



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