di Eleonora Cosmelli, del 5 giugno 2014, http://dailystorm.it/
Dopo 7 anni di mobilitazioni e polemiche, sono cominciate le trivellazioni nella riserva che l’Ecuador aveva tentato di salvare. Una catastrofe per il paese e per il mondo intero.
Quanti di voi saprebbero indicare l’Ecuador su una carta geografica? È vero, il nome stesso del Paese suggerisce la sua posizione poco al di sotto della linea equatoriale, nella periferia del Sud America. Eppure, negli ultimi anni, quest’angolo della terra si è ritrovato a essere protagonista di una storia che ha coinvolto quasi tutti i Paesi del mondo e che ha portato l’Occidente a fare i conti con l’idea che possa esistere una nuova strada verso lo sviluppo. E che a tracciarla possa essere il Sud del mondo. È la storia del Parco di Yasuni, una delle riserve naturali più importanti del mondo, che ospita non solo parte della foresta Amazzonica, ma anche diversi gruppi di indigeni, come i Tagaeri e i Taromenane. Il sito è patrimonio dell’Unesco dal 1989. Il titolo gli è stato riconosciuto in nome dell’enorme biodiversità che caratterizza il posto, che ospita 220-720 tipi di piante diverse, 150 specie di anfibi e 43 di vertebrati, nonché 121 di rettili e 596 di uccelli. Nonostante tutto, fra poco arriveranno le trivelle in cerca dell’oro nero.
La storia comincia nel 2007, quando il governo di allora prese la decisione di smettere di utilizzare la cosiddetta area ITT (Ishpingo-Tambococha-Tiputini), interna al Parco, per l’estrazione del petrolio. Una scelta fatta in nome della protezione e del rispetto di questo tesoro di biodiversità e della casa di centinaia di indigeni. L’anno dopo, infatti, i cittadini ecuadoriani approvarono con un referendum popolare cinque nuovi articoli della Costituzione, tutti riguardanti i diritti della Madre Terra. Per la prima volta, la natura veniva considerata un soggetto giuridico a tutti gli effetti, qualcosa da proteggere di per sé. Nel 2008 sembrava che l’Ecuador dovesse cominciare a fare scuola al mondo intero in materia di tutela ambientale. Ma si tratta pur sempre di un Paese piccolo e povero, che rinunciando a sfruttare l’area ITT per ricavarne il petrolio rischiava di affossare la propria – già debole – economia. Per questo si stabilì che anche altri paesi, soprattutto quelli più ricchi, avrebbero sopperito alle mancate rendite dell’estrazione. Insomma, considerato che la tutela della foresta Amazzonica è un beneficio per il mondo intero, sembrava giusto condividere le spese. Inutile dire che non tutti la presero bene.
La questione delle spese creò un bel po’ di scompiglio. La notizia fece il giro del mondo, suscitando la solidarietà di diverse voci a livello internazionale. L’Italia stessa accolse con entusiasmo l’iniziativa, facendosi paladina di una causa mai cominciata. A questo punto, la storia fa un salto avanti nel tempo. È stato nel Ferragosto dell’anno scorso che proprio il governo ecuadoriano, presieduto dal socialista Rafael Correa, è arrivato a fermare il progetto contro le trivellazioni nell’area ITT. I contributi promessi dall’Occidente nell’arco di cinque anni, infatti, erano stati esigui. Per fermare l’estrazione di petrolio nel parco Yasuni servivano 3 miliardi e 600 milioni di dollari. Di questa cifra – elemosina se paragonata ai soldi investiti ogni anno nelle trivellazioni a livello mondiale – come affermato da The Guardian sono stati racimolati solo 13, 3 milioni. Ridicolo.
Proprio dopo questa delusione “istituzionale” che Ecuador ha nuovamente stupito tutto il mondo. È stato proprio il popolo ecuadoriano, infatti, a lanciare una petizione per richiedere al governo un referendum popolare sulla questione. Il merito va all’associazione Yasunidos, formata da ambientalisti e indigeni, che lo scorso aprile ha presentato 760.000 firme a favore del referendum, a livello nazionale e internazionale. Un numero che superava di gran lunga quello richiesto dalla Costituzione per la concessione di un referendum. I cittadini hanno dato un segnale fortissimo, dimostrando di essere consapevoli di quanto la protezione di questa riserva li riguardi da vicino. Una vera sconfitta politica per Correa, rieletto solo l’anno scorso per il suo secondo mandato. Nel tentativo di riequilibrare le forze in campo a proprio favore, il Presidente ha annunciato l’intenzione di utilizzare il ricavato dalle trivellazioni ITT per la lotta alla povertà diffusa nel Paese.
Mentre Correa azzardava controproposte per placare la mobilitazione, sembra che la sua credibilità fosse protetta anche dal Comitato Nazionale Elettorale dell’Ecuador, che, secondo gli attivisti diYasunidos, si sarebbe premurato non solo di controllare la veridicità delle firme della petizione, ma anche di farne sparire misteriosamente alcune. Altre sono state considerate invalide per i motivi più bizzarri: bastava che fossero scritte in nero piuttosto che in blu. Alla fine, cancella di qua falsifica di là, lo scorso 6 maggio il Comitato ha stabilito che non sono state raccolte abbastanza firme per promuovere il referendum. Tra tutte le firme, solo 359.781 sono state dichiarate valide. Gli attivisti diYasunidos hanno parlato allora di “frode”.
Ma oltre al danno, è arrivata anche la beffa. Nella seconda metà di maggio, la società Petroamazonas si è aggiudicata il permesso di cominciare l’estrazione nell’area ITT. Per ora le trivellazioni coinvolgono solo i campi Tibutini e Tambococha, lasciando libero Ishpingo. Questa è dunque la vera fine di questa storia ecuadoriana, sudamericana e per certi aspetti mondiale. Una storia di corruzione e di come noi la Terra abbia perso l’occasione di risparmiarsi circa 400 tonnellate di CO2, proteggendo un patrimonio UNESCO e rispettando il diritto alla terra delle popolazioni indigene che lo abitano.
Fonte: http://dailystorm.it/2014/06/05/lunesco-rimpiazzato-da-trivelle-breve-storia-del-parco-yasuni/
Categorie:Americhe
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