Buen vivir e periferie nella Regione Andina

di Cristiano Morsolin, del 23 marzo 2015, http://www.unimondo.org

 

Buen Vivir e Cittadinanze Attive, modelli di trasformazione dai Sud della Terra, è il tema delle giornate di sabato 7 e domenica 8 marzo, organizzate a Treviso, dall’associazione NATs per… Treviso, nell’ambito del progetto “ALTRE FRONTIERE, Cooperazione per nuove prospettive di relazione con l’Altro”, in collaborazione con numerose altre associazioni di volontariato e cooperazione attive nel territorio. Francesco D’alessi – Presidente ANTs Per, sottolinea che il “Buen Vivir come paradigma di civiltà che pone al centro l’individuo, la sua comunità, la madre terra e il bene comune, in una prospettiva di ricerca di diversi modelli di emancipazione culturale e sociale e nuovi equilibri e resistenze possibili e praticabili, oltre i miti e i limiti di una crescita catastrofica e di uno sviluppismo ingannevole anche in quanto “sostenibile”. L’iniziativa è pensata, in continuità con quella dedicata nel 2012 ai temi del Land Grabbing e con i successivi cicli Cibi d’Altre Terre e cineforum sul Buen Vivir, come occasione di conoscenza e di scambio”. Durante il convegno, Joe Betti (Green Farm Movement), Massimo De Marchi (Università di Padova), Cristiano Morsolin (Bogotà), Monica Ruffato (Università di Trento), Diego Saccora (ComuniCare), Edgar Serrano (Università di Padova), Guido Turus (MoVi Veneto), Francesco Vallerani (Università di Venezia)  hanno discusso di Buen Vivir e trasformazione culturale della società, nei sud della terra e qui, nel nostro contesto di vita occidentale, come chiave di lettura di questioni sociali, economiche, ambientali, ineludibili e sempre più complesse a ogni latitudine.

 

Una panorámica dalla Regione Andina

Per capire le periferie della Regione Andina bisogna partire dal Forum Mondiale dell’habitat realizzato a Medellin (Colombia) nell’aprile 2014 che segnala: “Denunciamo l’attuale modello di sviluppo urbano neoliberale, per il suo essere esclusorio, antidemocratico, insostenibile e rischioso per la vita del pianeta e dell’umanità. La maggior parte delle nostre città sono progettate e governate dagli interessi di accumulazione dei grandi capitali. Attualmente oltre 1,2 miliardi di persone in tutto il mondo non hanno né una casa né un ambiente dignitoso in cui vivere e, in Colombia, oltre 13 milioni di persone non hanno garantito il diritto umano all’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. I mercati, le mafie, i grandi capitali nazionali e multinazionali, le entità finanziarie e immobiliari e le reti di corruzione statale hanno provocato una profonda crisi urbana, causando l’emarginazione di coloro che hanno meno e che sono più vulnerabili, la distruzione degli ecosistemi e la negazione di ogni possibilità di democrazia e di benessere”.

Medellín è il capoluogo del dipartimento di Antioquia: si trova in una valle della cordigliera andina ed è il principale centro commerciale di una regione agricola e mineraria. Fu fondata nel 1675 ma conobbe un rapido sviluppo solo nel corso del Diciannovesimo secolo, dopo la costruzione della ferrovia. Nel corso del Novecento Medellín è stata considerata la città simbolo di un potente cartello di trafficanti (quello di Pablo Emilio Escobar), di violenza e povertà. Ma ora la situazione è cambiata, soprattutto grazie a una ristrutturazione urbana radicale che l’Economist definisce “redistributiva” e che gli urbanisti chiamano di “pianificazione sociale”.

La pianificazione sociale si basa sostanzialmente sullo sviluppo di infrastrutture nei quartieri più marginali per garantire a tutti l’accessibilità alle risorse che la città offre e per integrare tutti gli abitanti indipendentemente dalla loro condizione sociale. Questi interventi hanno portato nel tempo a un miglioramento della qualità della vita e a una riduzione del crimine, anche se i problemi di Medellín restano gravi: permangono un altissimo divario tra i più poveri e i più ricchi e forti contrasti. Ma negli ultimi anni la povertà è diminuita: il 19,2 per cento dei residenti ora vive sotto la soglia di povertà, sotto anche alla media delle altre aree metropolitane della Colombia; il tasso di omicidi, che era di 381 ogni 100 mila abitanti nel 1991, è sceso a meno di 50.

Questo rinnovamento e’ frutto di un’alleanza tra le politiche municipali di stampo progressista e la societa’ civile che dal 2001 sta governando Medellin con Fajardo Sergio, docente universitário, Alonso Salazar, sociologo esperto di bande giovanili e autore di “No nacimos pa’ semilla”, e l’attuale sindaco Anibal Gaviria.

Il legame tra disuguaglianza e politiche neoliberali

Analizzando gli ultimi decenni sia dal punto di vista economico che politico e sociale è insomma chiaro a tutti come il capitalismo sia un sistema basato sulla disuguaglianza e non sulla solidarietà. Ed è palese che uno dei segni di questa caratteristica è proprio la maniera in cui le città – centri nevralgici di tale modello di sviluppo (e di società) – continuano a crescere e a modificare la loro natura.

Le nuove città globali sono divenute con il tempo luoghi di segregazione e di esclusione, perdendo – man mano che divenivano più grandi e più popolose – ogni carattere proprio della comunità e ogni funzione aggregativa o di stimolo alla coesione sociale. Nelle città vivono segregati contemporaneamente milioni di poveri nelle squallide periferie e centinaia di ricchi nelle algide “zone rosa” (come per esempio il nord di Bogota, lontano quase due ore dalle periferie popolari di Ciudad Bolivar e Soacha), costruite a misure per le loro tasche e i loro costosi gusti. Anche quest’ultima è una forma di segregazione che non permette alcuna permeabilità tra settori sociali lontani per vissuto e prospettive. D’altra parte, proprio le moderne “città globali” sono spesso scenari della nascita di movimenti sociali radicati a problematiche specifiche come il diritto alla casa, al lavoro, alla socialità, alla difesa dei diritti civili e di cittadinanza etc.

Zibechi (Territori in resistenza -Nova Delphi Ed., 2012 ) analizza con sorprendente acutezza le nuove forme di controllo utilizzate nelle periferie sudamericane per frenare il potenziale rivoluzionario e l’azione antisistemica dei movimenti sociali urbani. Nella sua analisi Zibechi richiama, tra gli altri, Immanuel Wallerstein, sottolinea che « Le periferie urbane rappresentano una delle fratture più importanti in un sistema che tende al caos. È lì che gli Stati hanno minore presenza, è lì che i conflitti e la violenza che accompagnano la disintegrazione della società sono parte della vita quotidiana. È ancora nelle periferie urbane che i gruppi sono maggiormente presenti, tanto da conseguire, in alcune occasioni, il controllo dei quartieri, ed è infine lì che le malattie crescono in modo esponenziale. Detto con le parole di Wallerstein, nelle periferie confluiscono alcune delle principali fratture che attraversano il capitalismo: quelle di origine, quelle “etniche”, quelle di classe e quelle di genere. Sono i territori della spoliazione quasi assoluta. E della speranza, diciamo con Mike Davis”.

Questa periferia della speranza e’ insorta a Bogotá per la momentanea destituzione del Sindaco di sinistra Gustavo Petro, ex guerrigliero, già senatore ed esponente di spicco dell’opposizione di sinistra dell’Alleanza Progresistas-Partido Verde (il primo che ha denunciato il potere politico dei paramilitari, in primis di Salvatore Mancuso e la liason del narcotraffico con la ndrangheta calabrese), è stato condannato a 15 anni di inabilità a ricoprire i pubblici uffici dal controverso procuratore Alejandro Ordóñez Maldonado, noto per la sua appartenenza ai circoli conservatori, con l’accusa di gravi “irregolarità” rilevate nella sua politica di gestione dei ciclo dei rifiuti urbani che il 18, 19 e 20 dicembre 2012 provocò gravi disagi nella capitale.

L’azione di Ordóñez ha creato le premesse per una massiccia mobilitazione popolare che si é accesa fin da dicembre. La Plaza Bolívar della capitale Bogotá è stata ribattezzata la Comuna de Bogotá, poiché si è trasformata in uno spazio di democrazia partecipata e in un punto d’incontro e di “contropotere” riempito da centinaia di migliaia da giovani, donne, femministe, indigeni, afrodiscendenti, ambientalisti, disoccupati, desplazados (rifugiati interni) e di tutta la società civile.

Buen Vivir e inclusione riciclatori informali

Buen-vivir-e-periferie-nella-Regione-Andina_mediumSecondo i dati forniti dall’amministrazione di Bogotá, vi è un avanzamento del 42% nell’inclusione dei netturbini informali presenti in capitale, questa e’ la strategia municipale per costruire Buen Vivir attraverso il lavoro in condizioni dignitose per i riciclatori, cosi’ i loro figli non si devono occupare di questo lavoro minorile.

La dichiarazione è emersa nel corso del seminario “Riciclaggio informale o innovazione sociale” svoltosi all’Università Externado di Colombia nel maggio 2013, nel corso della quale la funzionaria municipale Nelly Mogollón ha illustrato l’aggiornamento del Piano “Zero Rifiuti” iniziato nel 2012 dal sindaco Gustavo Petro: sono stati pagati 988 milioni di pesos (circa 400.000 euro) ai lavoratori del settore che hanno raccolto 11.000 tonnellate di residui destinati al riciclaggio.

Dei 13.000 riciclatori informali censiti nella capitale colombiana finora ne sono stati integrati al programma 5.000; d’altra parte, l’amministrazione evidenzia ostacoli quali la non conoscenza o il rifiuto del programma d’inclusione e la mancanza di un conto corrente bancario indispensabile per ricevere lo stipendio. Nel corso dell’incontro si è registrata la protesta dell’Associazione dei Riciclatori di Bogotá (ARB) che reclama mancati pagamenti ed ha invocato una migliore organizzazione del piano, inoltre la portavoce Nohra Padilla ha richiamato l’uditorio sulla dignità calpestata di chi tratta i rifiuti, ridotto alla marginalità sociale. L’associazione da tempo rivendica un ruolo formale del loro lavoro ed ha ottenuto in diverse sentenze della Corte Costituzionale il riconoscimento ed i diritti derivanti dalla loro attività socio-economica.

Questa lotta contro la segregazione (Colombia e’ l’unico paese del continente dove i sussidi per i servizi pubblici sono legati alle classi sociali –estratificacion) considera il diritto all’acqua. A partire dal 23 febbraio 2012, tre milioni di cittadini poveri di Bogotá – circa la metà della popolazione totale – hanno ricecevuto un quantitativo di acqua gratuita al mese erogato dall’azienda degli acquedotti della capitale colombiana, il Sindaco Petro há garantito l’accesso gratuito al “consumo minimo vitale” di quello che ha definito “un bene di tutti”. Secondo l’amministrazione, il consumo medio di acqua è pari a 11.000 litri al giorno tra i settori meno abbienti: sei saranno sovvenzionati dalle autorità locali. Attualmente gli utenti più poveri pagano mediamente tra i 31.900 e i 61.000 pesos al mese (fra i 13,5 e i 26 euro) per la bolletta dell’acqua, in un paese in cui il salario minimo mensile è di 566.700 pesos (241 euro): dall’entrata in vigore della nuova misura hanno risparmiato, secondo le stime, fra il 26 e il 28%.

Tra i provvedimenti adottati dalla amministrazione della capitale figura il divieto di porto di armi da fuoco dal 1° febbraio al 1° maggio nel tentativo di ridurre il numero degli omicidi: il tasso di morti violente nella capitale nel 2011 è stato pari a 21,5 ogni 100.000 cittadini. 

Un Paese è sviluppato non quando i poveri posseggono automobili, ma quando i ricchi usano mezzi pubblici e biciclette

Un Paese è sviluppato non quando i poveri posseggono automobili, ma quando i ricchi usano mezzi pubblici e biciclette”, questa frase, pronunciata recentemente dal sindaco della città di Bogotà Gustavo Petro, nella sua apparente forza provocatoria è in realtà molto concreta e moderna, e si presta a considerazioni sulle evoluzioni dello stile di vita nei Paesi più avanzati e sul cambiamento delle scale di valori che stiamo vivendo. Nella metropoli di un Paese in fase di sviluppo, l’incremento del potere di acquisto dei cittadini si traduce fatalmente nel possesso di più automobili e porta con sé una drastica riduzione della qualità della vita : traffico, inquinamento, stress, tempi di percorrenza lunghi, vita sedentaria e conseguente crescita di obesità, problemi cardiovascolari e diabete… Il sindaco Petro si è reso conto che lo sviluppo inteso solo come incremento del potere di acquisto, se non accompagnato da una crescita culturale e di senso civico nella popolazione provoca un peggioramento, non un miglioramento, della qualità della vita, della salute, della felicità dei cittadini. E un impatto negativo sulle casse dello stato. Ma nei Paesi veramente avanzati la frase del sindaco colombiano non suona più come una provocazione, ma è davvero una realtà di fatto. Per esempio, consapevoli dell’importanza dell’esercizio fisico e dell’impatto ambientale delle loro automobili, ormai migliaia di cittadini delle città Scandinave, Svizzere, dei Paesi Bassi per il pendolarismo casa ufficio usano quotidianamente la bicicletta; si tratta di cittadini in tutti gli strati sociali, ma in particolare delle persone più colte, che lì sono in genere anche le più affluenti, per le quali l’uso ingiustificato dell’automobile inizia a diventare un comportamento biasimato.

Epistemologia del Sud

A proposito dell’emersione política di soggetti storicamente esclusi come i riciclatori o i lavoratori informali delle periferie che hanno trovato riconoscimento político non solo a Bogota’ ma a Quito (Ecuador) con Barrera  e a Lima (Peru) con la sindaca Susana Villaran, puo’ essere interpreta con la una nuova teoria critica che va sotto il nome di Epistemologia del Sud.

Il sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos pone al centro delle sua riflessione un insieme di attori che spesso non occupano i grandi centri urbani ma vivono in villaggi remoti sulle Ande o in amazzonia. Gruppi quasi invisibili per la teoria critica eurocentrica che sono riusciti a innescare cambiamenti profondi nei sistemi sociali dove hanno potuto organizzarsi e trovare spazio: si tratta dei nuovi movimenti femministi, indigenisti, ambientalisti, LGBT, disoccupati e precari. Spesso non parlano lingue coloniali o si rifiutano di parlarle e, anche quando tentiamo di tradurre queste lingue nazionali, emergono concetti che forse non ci aspetteremmo come dignità, rispetto, autodeterminazione, territorio, buen vivir ecc. e soprattutto aggettivi nuovi che cambiano il senso profondo di vecchi sostantivi: democrazia “partecipativa” e “radicale”, sviluppo “alternativo” e “sostenibile”, diritti umani “collettivi” e “interculturali”, cosmopolitismo “subalterno”. (De Sousa Santos B., 2009, Una epistemologia del sur, Clacso, Buenos Aires).

Per Sousa Santos l’Epistemologia del Sud è la possibilità di scegliere nuovi processi di produzione, potenziare conoscenze valide che a loro volta possono sviluppare relazioni tra diversi tipi di conoscenze scientifiche e non scientifiche, sempre a partire dalle pratiche e dai discorsi dei gruppi subalterni che hanno sofferto le discriminazioni causate dal capitalismo, dal colonialismo e da tutte le naturalizzazioni della disuguaglianza nelle quali si sono dispiegate (il sacrificio della “madre terra”, il razzismo, il sessismo, e le altre “monocolture della mente”), (Ivi). In questo senso, per Sousa Santos è meglio parlare di un insieme di epistemologie, al plurale appunto, che rappresentano un Sud che non è geografico, ma metaforico: una metafora della sofferenza sistematica prodotta dal capitalismo e dal colonialismo.

Conclusioni

Ho appena pubblicato il libro “En la periferia de la Copa del Mundo. Propuestas para enfrentar el apartheid de la segregación urbana y defender el derecho a la ciudad en Latinoamérica” (edizioni Antropos, Bogota – marzo 2015 ) Se l’informalità ha avuto nel tempo una sua declinazione prevalente negli aspetti fisici, è emersa da varie esperienze raccolte nel libro, un’accezione più antropologica e culturale. Questa è riferita soprattutto alle dinamiche e agli spazi di dialogo tra istituzioni e attori che non hanno un riconoscimento formale, ma che divengono accreditati per la loro capacità di interagire a nome delle comunità di cui rappresentano diritti e forme organizzative, che trasgrediscono i tradizionali sistemi istituzionali.

Il riconoscimento di questi attori diviene decisivo per comprendere i bisogni e per impostare le nuove politiche urbane nei quartieri marginali e informali, ribaltando i procedimenti tradizionali a favore di un pieno riconoscimento dei protagonisti dell’urbanizzazione irregolare, attribuendo loro un ruolo fondamentale nella costruzione delle strategie d’intervento.

Il tema della lotta contro la disugualianza e’ un altro leitmotiv, come per esempio la proposta di Carolina Toha Morales, sindaco di Santiago del Cile. Ha ribadito infatti la necessità di un Indice relativo di salute sociale (un progetto maturato in America latina già da tempo), capace di valutare la vulnerabilità dei soggetti a rischio così come la capacità finanziaria per le coperture di servizi. Questo contributo ha sollevato grandi questioni che s’incontrano nelle città latinoamericane: il centro storico come luogo delle identità e non spazio dello svago; la questione dell’appartenenza territoriale delle comunità e del loro riconoscimento, specie nella ripartizione delle infrastrutture e servizi; la necessità di nuovi codici normativi mirati a intercettare quell’informalità che è costitutiva delle metropoli latinoamericane, e che si estende dal commercio alle case, alle potenzialità di lavoro e di rappresentanza politica e istituzionale di comunità marginate.

Per questi motivi il fatto che il Sindaco Gustavo Petro ha raggiunto lo storico risultato – con il monitoraggio della societa’ civile, che da tre anni non muore a Bogota’ nessun bambino per fame in una Colombia che è considerata il terzo paese più disuguale del mondo, dove lo 0,4% dei proprietari possiedono il 64% della terra, con la seconda peggior crisi umanitaria a livello mondiale, dopo la Siria.

In Colombia, dove circa il 32,2% della popolazione totale del Paese vive in condizioni di povertà estrema. Dai dati raccolti dal mese di luglio 2012 e giugno 2013 dal Dipartimento Amministrativo Nazionale di Statistica (DANE) è emerso infatti che, su 47 milioni di abitanti, 14 milioni e 600 mila sono poveri e tra questi oltre 4 milioni vivono in condizioni di povertà estrema, ossia il 10,1 % del totale nazionale. Il dialogo di buone pratiche di inclusione e emancipazione tra politiche municipali di stampo progressista e società civile dimostra un cammino sostenibile per lottare contro la segregazione e le diseguaglianze.

 

Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, autore di vari libri. Analizza il legame tra diritti umani, movimenti sociali e politiche emancipatorie.

Fonte: http://www.unimondo.org/Notizie/Buen-vivir-e-periferie-nella-Regione-Andina-150089



Categorie:Americhe

Tag:, , , , ,

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: